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Assegno divorzile alla moglie quarantenne che rinuncia al lavoro per favorire la carriera del marito

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  • 10 ott 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

di Marco Mella - Avvocato in Brescia



“L’assegno divorzile – avente una funzione non solo assistenziale ma anche compensativa-perequativa – deve essere riconosciuto alla donna quarantatreenne che ha rinunciato al lavoro, occupandosi esclusivamente della cura dei figli e della famiglia, così consentendo al marito di dedicarsi appieno alla sua attività professionale e contribuendo, perciò, alla sua realizzazione ad elevato livello e all’incremento del patrimonio familiare”. (Tribunale di Roma, sez. I, con sentenza 11 giugno 2019 n. 12255)


Con sentenza n. 12255 dell’11 giugno 2019 il Tribunale di Roma si allinea alla pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 18287/2018) che, in tema di assegno divorzile, ha sancito il definitivo superamento della concezione meramente assistenziale di detto assegno in favore di quella che ne valorizza la natura composita.

Prima di esaminare la fattispecie oggetto della sentenza, tuttavia, è utile passare brevemente in rassegna la normativa di riferimento e le diverse interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali che nel corso degli anni si sono susseguite in ordine al presupposto oggettivo di riconoscimento dell’assegno divorzile.


L’assegno divorzile: dalla natura assistenziale a quella composita.

L’articolo 5, comma 4, legge n. 898 del 1° dicembre 1970, nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte dall’articolo 10 della legge n. 74 del 6 marzo 1987, recitava: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in una unica soluzione”.

Il tribunale, quindi, nel provvedere in merito al summenzionato assegno, doveva tenere conto “delle condizioni economiche dei coniugi” e “delle ragioni della decisione”.

Inoltre, la determinazione dello stesso doveva avvenire considerando “il contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi”. In relazione a questi tre elementi, la Corte di Cassazione aveva, pertanto, elaborato la c.d. teoria della natura composita dell’assegno divorzile, ritenendo che lo stesso avesse contemporaneamente natura assistenziale, risarcitoria e compensativa.

Con legge n. 74/1987 il legislatore interveniva modificando l’art. 5 della l. 898/1970 ed introducendo al sesto comma il presupposto oggettivo della “mancanza dei mezzi adeguati”. L’attuale formulazione dell’art. 5 co. 6 della legge 898/1970, infatti, dispone che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Tale modifica contribuì all’affermazione della tesi – rimasta pressoché immutata fino al 2017 – che individuava nell’assegno divorzile una natura quasi esclusivamente assistenziale. Con la precisazione, compiuta dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che il requisito della “mancanza dei mezzi adeguati” doveva essere posta in relazione al tenore di vita goduto dall’avente diritto in costanza di matrimonio. Secondo tale impostazione, dunque, poteva darsi l’ipotesi in cui l’avente diritto, in considerazione dell’elevato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, pur non versando in stato di bisogno ed essendo economicamente autosufficiente, si vedeva riconosciuto in ogni caso l'assegno divorzile.

Lo stesso indirizzo giurisprudenziale, inoltre, strutturava il giudizio di accertamento del diritto all’assegno divorzile in maniera bifasica. Sicché, accertato il presupposto oggettivo della mancanza dei mezzi adeguati il Giudice, per la determinazione del quantum dell’assegno, avrebbe dovuto applicare gli ulteriori parametri previsti dalla norma in commento, in particolare:

a) le ragioni della decisione (c.d. criterio risarcitorio);

b) il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (c.d. criterio compensativo);

c) la durata del matrimonio.

Tali criteri, pertanto, assumevano carattere sussidiario e trovavano applicazione nella sola ipotesi in cui l’accertamento dell’unico elemento attributivo dell’assegno – “la mancanza dei mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive” – si risolveva con esito positivo. Sussidiarietà mitigata, però, dal fatto che l’applicazione di anche uno solo di detti criteri avrebbe persino potuto determinare l’azzeramento dell’assegno.

A seguito di un recente revirement giurisprudenziale (Cass. n. 11504/2017), tuttavia, la tradizionale interpretazione dell’art. 5 co. 6 l. 898/1970 appena esposta subiva una secca smentita in favore di un asserito principio di auto-responsabilità economica in virtù del quale il presupposto oggettivo dell’assegno si sarebbe dovuto individuare nella “mancanza di indipendenza economica”. Di talché, nell’ipotesi in cui il Giudice avesse accertato che l’ex coniuge fosse stato economicamente autosufficiente, non avrebbe dovuto riconoscergli alcun assegno divorzile. Diversamente, secondo detta pronuncia, sarebbe venuta meno la funzione esclusivamente assistenziale dell’istituto.

A sostegno di quest’ultima tesi, veniva affermato dalla Corte che il principio di indipendenza economica era da ricercarsi nell’art. 337 septies co. 1 c.c. Tale norma, infatti, escludendo l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne economicamente autosufficiente, avrebbe giustificato, a maggior ragione, il mancato riconoscimento dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge che avesse parimenti raggiunto l’indipendenza economica.

Stante l’assoluta novità del principio appena enunciato, con sentenza n. 18287/2018 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono recentemente intervenute per fare chiarezza sul punto. Queste ultime hanno inteso, anzitutto, valorizzare tanto il principio di autoresponsabilità quanto quello della solidarietà post-coniugale che rende l’assegno divorzile uno strumento equilibratore non finalizzato esclusivamente alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma anche al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole al menage familiare.

In questo senso, le Sezioni Unite tengono a riaffermare la funzione composita, non solo assistenziale ma anche compensativa-perequativa oltre che risarcitoria dell’assegno divorzile.

Inoltre, nella stessa pronuncia viene precisata la necessità di un “superamento della distinzione del criterio attributivo e dei criteri determinativi dell’assegno di divorzio” al fine di sostituirvi una valutazione integrata di tutti i criteri posti dall’art. 5 co. 6 l. 898/1970. In questo senso, il diritto del richiedente va accertato non in maniera bifasica – come la tradizionale giurisprudenza e dottrina hanno sempre ritenuto – ma unitariamente.

Ora, fatti i debiti richiami normativi e chiarito l’approdo giurisprudenziale più recente in tema di assegno divorzile, è possibile esaminare il caso concreto trattato dalla sentenza in commento.


La fattispecie oggetto del giudizio e l’applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite.

La fattispecie da cui ha origine la pronuncia in oggetto, prende le mosse dalla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata dalla sig.ra Tizia nei confronti del sig. Caio, da cui si era già consensualmente separata.

Nel ricorso la sig.ra Tizia, oltre alla cessazione degli effetti civili del matrimonio e ad una serie di modifiche delle condizioni di visita dei figli minori, lamentava l’insufficienza dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione e chiedeva la definizione di un assegno divorzile in misura superiore rispetto al primo. A sostegno delle proprie richieste, Tizia adduceva la presenza di ingenti spese di gestione della casa familiare, l’elevato tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio, la capacità reddituale del marito nonché, vista l’età, la propria difficoltà di individuare una nuova occupazione lavorativa.

Avverso tale ricorso si costituiva in giudizio Caio aderendo alla domanda sullo “status”, ma opponendosi alle ulteriori domande formulate da Tizia in considerazione degli accordi negoziali stipulati a latere mediante i quali quest’ultima aveva acquisito, in pendenza di separazione, l’esclusiva proprietà dell’ex casa coniugale con annesso box pertinenziale.

All’esito del procedimento il Giudice, valutate comparativamente le situazioni patrimoniali delle parti (comprensive delle potenzialità dell’ex coniuge di avere adeguati mezzi propri o di essere capace di procurarseli), dato atto dell’elevata capacità reddituale di Caio emersa nel corso dell’istruttoria, dell’elevato tenore di vita goduto dalle parti in costanza di matrimonio, della durata del matrimonio nonché dell’effettivo contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio famigliare, accoglie la richiesta di Tizia riconoscendole l’assegno divorzile nella misura richiesta e respingendo la domanda di Caio.

In particolare, nella parte motiva della sentenza in commento, il Giudice richiama espressamente la sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite che, come sopra ricordato, ha riconosciuto all’assegno divorzile natura composita, attribuendo all’emolumento sia una funzione assistenziale (fondata sui parametri delle “condizioni dei coniugi” e del “reddito di entrambi”), sia una funzione compensativa-perequativa (valorizzando il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi i partner), sia una funzione risarcitoria (con riferimento alle ragioni statuite in sentenza e determinanti la fine del rapporto coniugale).

Con tale sentenza di merito si conferma, dunque, il superamento del tradizionale orientamento giurisprudenziale fondato sulla natura meramente assistenziale dell’assegno divorzile e sulla concezione bifasica del giudizio di accertamento del presupposto oggettivo per il riconoscimento dell’assegno, in favore di una interpretazione più coerente con il dettato costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2,3 e 29 Cost.


 

Riferimenti bibliografici

- Chinè Giuseppe – Fratini Marco – Zoppini Andrea [2016], Manuale di diritto civile. Roma, Nel Diritto Editore;

- Paladini Mauro – Renda Andrea – Minussi Daniele [2019], Manuale di diritto civile. Milano, Giuffrè Francis Lefebvre.

- Gazzoni Francesco, [1987] Manuale diritto privato. Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a., 2015.

 
 

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